Il redditometro è da mesi fonte di numerose polemiche che lo considererebbero violazione della privacy dei cittadini italiani, questo secondo quanto dichiarato da alcuni giudici tributari. Prima però di andare ad analizzare le diverse sentenze di quest’ultimi, facciamo il punto su "cos’è il redditometro" verificando anche le tabelle che ad esso si riferiscono.
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- Come funzionano le tabelle per il redditometro
- Gli interventi della Cassazione
- Reddito di lavoro autonomo
Si tratta essenzialmente di uno strumento mediante il quale viene effettuata un’analisi tra le dichiarazioni dei redditi dei singoli contribuenti e le spese di quest’ultimi. Facendo una media di questi dati dunque l’Agenzia delle Entrate può verificare se ci sono incongruenze tra quanto dichiarato dal cittadino e quello che questo va effettivamente a spendere durante l’anno.
Ovviamente sono solo alcune categorie di spese che sono valide in questi controlli, le quali non devono sforare il 20% per un limite massimo di € 12.000.
Come funzionano le tabelle per il redditometro
Il Fisco ha "partorito" una serie di tabelle sul nuovo redditometro: si tratta di una misura specificata nel decreto attuativo datato al dicembre del 2012, volta a verificare una serie di dati relativi ai contribuenti italiani. Nello specifico, di seguito specifichiamo quelli che sono i tre settori principali su cui avverrà il controllo.
Tabella redditometro "A": in questa prima classificazione sono contenuti i vari elementi che vanno ad indicare la capacità contributiva del cittadino, ovvero quelle che vengono ritenute come spese normali o altri tipi di investimento del patrimonio personale. I valori si riferiscono ad una media ISTAT correlata alla tipologia del nucleo familiare di cui si intendono verificare i consumi.
I principali riferimenti sono:
- Consumi relativi ai generi alimentari, alle bevande, all'abbigliamento e alle calzature
- Consumi relativi alla propria abitazione (mutuo, affitto, Spese condominiali, consumi, ecc...)
- Consumi relativi ai combustibili e all'energia domestica
- Consumi relativi ai mobili, agli elettrodomestici e ad altri servizi per le abitazioni
- Consumi relativi alla sanità
- Consumi relativi ai trasporti
- Consumi per le comunicazioni
- Spese per l'istruzione
- Spese per il tempo libero
- Altri consumi di beni e servizi vari, come prodotti per la cura della persona, parrucchiere, contributi, ecc...
- Investimenti personali
Nella tabella denominata B del redditometro, sono indicate le varie tipologie familiari a cui fare riferimento per il calcolo, suddivise anche in merito alla posizione geografica che occupano all'interno dei confini italiani.
L'ultima tabella del redditometro, infine, è una sorta di allegato in cui vengono presi in considerazione i vari modelli di automobili, o meglio il rapporto fra la potenza in Kw dei veicoli rispetto alla composizione dei nuclei familiari.
Cosa deve fare il contribuente
Nel caso in cui si verifichi una situazione di discrepanza tra le spese dichiarate e quelle accertate dall'amministrazione fiscale, il contribuente sarà obbligato a fornire adeguate giustificazioni per le spese sostenute. Questo processo richiede la presentazione di documentazione probante, come ricevute, fatture e scontrini, che attestino in modo preciso e dettagliato la natura, l’entità e la legittimità delle uscite economiche contestate. Tali richieste possono risultare particolarmente onerose per i cittadini, soprattutto nei casi in cui le spese coinvolgano ambiti delicati come la salute, l'istruzione o la gestione familiare.
Un caso emblematico che mette in discussione l'applicazione e la legittimità del cosiddetto "redditometro" è quello del tribunale di Napoli, che il 21 febbraio 2013 si è pronunciato dichiarando illegittimo l'utilizzo di questo strumento. La decisione della corte è arrivata in seguito a un ricorso presentato da un pensionato, il quale si era trovato a dover giustificare minuziosamente tutte le spese sanitarie sostenute per far fronte a una grave malattia. La situazione aveva sollevato un dibattito acceso sulla violazione della privacy dei cittadini, poiché l'obbligo di rendicontare dettagli così personali è stato ritenuto lesivo della sfera privata e incompatibile con i principi fondamentali di tutela della dignità umana.
Il redditometro, introdotto come strumento di accertamento sintetico da parte dell’Agenzia delle Entrate, mira a confrontare il reddito dichiarato dal contribuente con le spese sostenute, individuando eventuali incongruenze che potrebbero suggerire una mancata dichiarazione di redditi effettivi. Tuttavia, sin dalla sua adozione, questo meccanismo è stato oggetto di polemiche per il suo approccio considerato invasivo. In particolare, si è criticato il fatto che il sistema presuppone una correlazione diretta tra le spese e il reddito, senza tenere conto delle diverse situazioni individuali, come il ricorso a risparmi accumulati, donazioni o altri fonti di sostentamento non necessariamente tassabili.
Il caso del pensionato napoletano è diventato un simbolo della battaglia contro i limiti eccessivi di un controllo fiscale percepito da molti come oppressivo. La richiesta di giustificare ogni singolo centesimo speso per cure mediche essenziali non solo ha sollevato dubbi sulla proporzionalità delle misure adottate dall’amministrazione finanziaria, ma ha anche evidenziato i rischi di un sistema che può colpire ingiustamente i soggetti più vulnerabili. Persone con redditi fissi, come pensionati o malati cronici, si trovano spesso costrette a sacrificare la propria privacy per dimostrare la propria onestà fiscale.
La sentenza del tribunale di Napoli del 2013 non solo ha rappresentato un punto di svolta per la giurisprudenza italiana in materia di tutela dei diritti dei contribuenti, ma ha anche dato il via a una riflessione più ampia sulla necessità di bilanciare il contrasto all’evasione fiscale con il rispetto delle libertà individuali. La dichiarazione di illegittimità del redditometro ha infatti portato a un ripensamento delle modalità di accertamento fiscale, spingendo il legislatore a considerare l'introduzione di strumenti meno invasivi e più rispettosi delle peculiarità di ogni singolo contribuente.
In conclusione, il caso dimostra quanto sia cruciale mantenere un equilibrio tra le esigenze di controllo fiscale e la protezione dei diritti fondamentali dei cittadini. L’esperienza del pensionato napoletano e la relativa decisione del tribunale sottolineano l’importanza di un sistema fiscale che non sacrifichi la dignità umana sull’altare dell’efficienza amministrativa. Una fiscalità equa e rispettosa non può prescindere dal riconoscimento delle difficoltà e delle specificità di ogni situazione personale.
Gli interventi della Cassazione
Dopo il caso di Napoli, un’ulteriore sentenza di grande rilievo è giunta dalla Commissione tributaria di Reggio Emilia, la quale ha giudicato incostituzionale e quindi inapplicabile lo strumento del redditometro, ideato originariamente per contrastare l'evasione fiscale, uno dei problemi più radicati del sistema tributario italiano. La decisione si è basata su argomentazioni che mettono al centro la tutela dei diritti fondamentali del cittadino, con un focus particolare sulla privacy, tema già sollevato in precedenti giudizi.
Secondo i giudici tributari di Reggio Emilia, il metodo di raccolta e verifica di tutte le spese effettuate da un individuo risulta lesivo del diritto alla riservatezza. Questo approccio, a loro avviso, si pone in contrasto con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che garantisce la protezione della vita privata e familiare, oltre a un trattamento equo e rispettoso della dignità di ogni cittadino. La raccolta massiva di dati personali e l’analisi dettagliata delle spese, indipendentemente dalla loro natura o necessità, rappresenterebbero una forma di intrusione non giustificata nei confronti della vita quotidiana delle persone.
Un ulteriore punto di critica sollevato dai giudici riguarda l’impossibilità concreta, per il cittadino, di difendersi in modo efficace da eventuali contestazioni basate sulle medie di spesa calcolate dall’Istat. L'adozione di questi parametri, che considerano le medie nazionali delle spese delle famiglie italiane, risulta problematica perché non tiene conto delle specificità e delle condizioni individuali. Ad esempio, un contribuente con spese inferiori rispetto alla media non avrebbe la possibilità di dimostrare la propria situazione reale, poiché tali medie statistiche non riflettono necessariamente la realtà economica di ogni singolo nucleo familiare. Questo aspetto, secondo i giudici, mina alla base il principio di equità del sistema fiscale e ne compromette la trasparenza.
Le critiche non si fermano qui. La sentenza ha inoltre evidenziato come il redditometro, nella sua applicazione pratica, rischi di sovvertire uno dei capisaldi del diritto tributario: l'onere della prova. Con il redditometro, infatti, il cittadino si trova nella posizione di dover dimostrare la legittimità delle proprie spese, invertendo la consueta dinamica in cui è l’amministrazione fiscale a dover provare l’esistenza di un’eventuale evasione. Questo ribaltamento, a giudizio della Commissione, crea una situazione di squilibrio in cui il contribuente è posto in una posizione di svantaggio evidente, con scarse possibilità di far valere le proprie ragioni.
Di fronte a queste sentenze e alle relative argomentazioni, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto opportuno intervenire per difendere l’efficacia e la legittimità del redditometro. L’ente ha ribadito con forza che il sistema non viola in alcun modo la privacy dei cittadini, sottolineando che i dati raccolti e analizzati vengono trattati nel pieno rispetto della normativa vigente in materia di protezione dei dati personali. Inoltre, l’Agenzia ha precisato che le sentenze in questione si applicano esclusivamente ai casi specifici affrontati, senza dunque invalidare l’uso generale del redditometro come strumento di accertamento.
Nonostante queste rassicurazioni, il dibattito rimane acceso. Da un lato, vi è l’esigenza, giustificata, di contrastare il fenomeno dell’evasione fiscale, che ogni anno sottrae ingenti risorse alle casse dello Stato e penalizza i contribuenti onesti. Dall’altro, emerge la necessità di garantire che ogni misura adottata rispetti i diritti fondamentali dei cittadini, evitando di trasformare il sistema fiscale in un meccanismo percepito come vessatorio o discriminatorio.
Questo confronto tra esigenze di controllo e rispetto dei diritti individuali rappresenta una delle sfide più complesse per il sistema tributario italiano. Se da una parte è evidente la necessità di strumenti efficaci per combattere l’evasione, dall’altra occorre evitare che questi strumenti diventino sinonimo di ingerenza e disparità di trattamento. La vicenda del redditometro, con i suoi risvolti giuridici e le sue implicazioni sociali, rappresenta un monito per la necessità di bilanciare con attenzione le due esigenze, puntando verso una fiscalità più equa e sostenibile per tutti.
Redditometro e privacy
Qualche settimana fa il Garante ha comunque approvato la nuova “formula” del redditometro, dopo aver applicato alcune correzioni per evitare problemi legati all’invasione della privacy. Infatti, dopo una attenta analisi questo strumento è stato criticato da più parti a causa delle sue presunte criticià e possibilità di violazione dei diritti dei cittadini.
Le modifiche effettuate dall’Agenzia delle entrate hanno interessato innanzitutto le spese certe: la ricostruzione del reddito dei contribuenti italiani verranno ricostruiti soltanto a partire dalle cosiddette spese certe, senza andare ad utilizzare le spese medie Istat, dati che verrebbero presunti a partire da dati non esatti ma appunto statistici.
Per quanto detto, il redditometro relativo al 2013 non andrà a sfruttare le spese medie Istat per andare a calcolare le cosiddette spese “ricorrenti”, ovvero legate ad alcuni aspetti abitudinari come l’alimentazione, l’utilizzo di negozi di abbigliamento, ecc, spese per cui l’autorità fiscale non ha pieno possesso di evidenza.
Infatti, secondo il garante, questa serie di dati non sono assolutamente corretti a livello generale, ovvero non è possibile stabilire un margine minimo di errore nel computo relativo al singolo contribuente.
Informare i contribuenti
Un punto molto importante nella comunicazione fra Agenzia delle entrate e contribuenti è l’obbligo di comunicare al cittadino il possibile utilizzo ai fini di redditometro dei dati personali. Questa informativa dovrà essere presente sia nel modulo per la dichiarazione dei redditi che nelle apposite sezioni del sito ufficiale dell’Agenzia.
Per ogni dato richiesto, è necessario che venga specificato l’obbligo o meno di fornirli, e quelle che possono essere le conseguenze per il cittadino che si rifiuti di presentare tali dati, come ad esempio l’estratto conto. Tutto quello che riguarda i dati presunti di spesa non potrà essere oggetto di eventuale contraddittori da parte dell’Agenzia, in linea con quanto espresso dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo in materia di principi di riservatezza dei dati stessi.
Reddito di lavoro autonomo
Secondo quanto definito dal Capo V, Artt. 53 e 54, D.P.R. 22 Dicembre 1986 n. 917, possiamo considerare come redditi di lavoro autonomo tutti quelli derivanti da attività lavorative che non rientrino nell'ambito di attività di impresa o lavoro dipendente. In pratica, i redditi di lavoro autonomo derivano da una situazione di autonomia del lavoratore che realizza in proprio la sua attività professionale.
Tipologie di reddito
Rientrano nelle tipologie di redditi da lavoro autonomo, le seguenti classi di redditi, secondo quanto stabilito dal D.P.R. 22 Dicembre 1986, n. 917: innanzitutto, le attività artistiche e professionali (Art. 54, c. 1).
Un'altra tipologia è quella dei redditi che provengano qualora un autore o un inventore decida di trarre profitto da opere di ingegno, brevetti industriali e di processi, formule o informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico (Art. 54, c. 2, lettera b).
Redditi da lavoro autonomo sono quelli derivati dalle partecipazioni agli utili che spettano ai soci di società per azioni e dalle partecipazioni di associazioni se e solo se l'apporto è dato dalla prestazione di lavoro in maniera esclusiva (Art. 54, c. 2, lettera c; Art. 54, c. 2, lettera d).
Altri tipi di redditi di lavoro autonomo sono quelli derivanti dalle attività dei segretari comunali (Art. 54, c. 2, lettera f), quelli derivati dall'esercizio di attività di lavoro autonomo occasionale (Art. 67, c. 1, lettera l) e quelli derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (i cosiddetti contratti co.co.co.)