Cos'è di preciso il Diritto amministrativo, e quali competenze lo riguardano?
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- La Pubblica Amministrazione in Italia
- Decentramento amministrativo delle Pubbliche Amministrazioni
- Il federalismo
L'Autorità Amministrativa si basa sull'organizzazione di risorse umane e materiali, a cui viene assegnata la responsabilità di raggiungere mete di valore per la collettività. Questo campo, nelle sue fasi iniziali, evidenziava queste particolarità:
- amplificazione dell'autorità del settore pubblico
- sottomissione dell'autorità pubblica a regole particolari
- concentrazione dell'attività amministrativa
- capacità normativa dell'organo esecutivo
- distinzione tra ruolo amministrativo e ruolo giurisdizionale
Il Diritto Amministrativo consiste dunque di:
- una parte generale che costituisce l'oggetto centrale dei manuali tradizionali
- una parte processuale
I principi del Diritto Amministrativo
La fonte principale da cui traggono spunto è la Costituzione ma anche dalle leggi nazioni, comunitarie o dalla giurisprudenza. Nonostante non esista un elenco organico dei principi che muovono il Diritto Amministrativo, è possibile indicarne alcuni:
- Principio di legalità
- Principio di imparzialità
- Principio del buon andamento
- Principio di autonomia e decentramento: ispirati all’art. 5 Cost., in cui si riconoscono le autonomie locali e il decentramento amministrativo (affidamento delle funzioni alle Regioni, Province e Comuni);
- Principio di sussidiarietà verticale: collegato al precedente, prevede che i livelli di governo più vicini ai cittadini debbano avere funzioni specifiche;
- Principio di leale collaborazione
La Pubblica Amministrazione in Italia
La loro attività è di amministrazione secondo le norme di diritto pubblico nonché diritto amministrativo. La P.A., come già detto, è una struttura complessa all’interno del sistema burocratico di un Paese. Con il termine “amministrazione” possiamo riferirci alla funzione amministrativa nel senso della cura della cosa pubblica attraverso le norme giuridiche; e anche alla sede fisica in cui viene svolta l’attività, per questo si fa riferimento ad esso anche con il termine “apparato amministrativo”.
Una funzione amministrativa la si ritrova negli ordinamenti statali e negli altri ordinamenti giuridici sotto forma di attività che serve alla cura degli interessi della società intera (si occupa dunque sia di mansioni giuridiche che di attività materiali). La manifestazione dell'attività giuridica della pubblica amministrazione si mostra in determinati provvedimenti oppure con atti di diritto privato. La mansione amministrativa si discerne da quella legislativa perché quest'ultima si decifra nella creazione di norme generali mentre l'amministrazione provvede per il caso singolo, con norme concrete. Ci sono anche molti atti della pubblica amministrazione che hanno come consegnatari una pluralità di soggetti.
La mansione amministrativa si diversifica poi dalla funzione giurisdizionale per la posizione di terzietà del giudice che caratterizza quest'ultima. La funzione amministrativa è infatti attività non libera nel fine. Il legislatore decide l'interesse pubblico da perseguire. L'organo deve ragionare sull'interesse pubblico affidato alle sue cure con gli altri interessi.
Le conseguenze di una Spesa pubblica esagerata sull'amministrazione dello Stato
Rientrano nell’ambito delle “Spese pubbliche” tutte le uscite di denaro pubblico indirizzate al perseguimento di fini appartenenti alla Pubblica Amministrazione. Tali spese possono essere classificate in:
- spese correnti (riferite al funzionamento dei pubblici servizi)
- spese fisse (derivanti da leggi organiche)
- spese obbligatorie (indicate nell’elenco allegato allo stato di previsione del Ministero del Tesoro)
- spese d’ordine (relative all’accertamento e alla riscossione delle entrate)
- spese ripartite (da eseguirsi in più esercizi successivi)
- spese a pagamento differito
- spese impreviste
La spesa pubblica deve essere erogata attraverso quattro fasi: l’impegno, la liquidazione, l’ordinazione e infine il pagamento. L’erogazione della spesa pubblica si effettua attraverso un processo prefissato, condizione di legittimità del pagamento del debito assunto dall’ente pubblico per il perseguimento dei propri fini.
Vengono raffigurati come irregolarità i seguenti casi: l’assunzione di impegni di spesa in eccedenza alle previsioni di bilancio e l’imputazione a capitoli o rubriche non pertinenti.
Class Action e pubblica amministrazione: diamone una Definizione
La class action, o azione collettiva, identifica una specifica azione legale che viene intrapresa da uno o più soggetti, che vengono considerati appartenenti a questa classe e vogliono dirimere insieme una questione comune per cui si rivolgono ad uffici e tribunali competenti.
A partire dal 1 Gennaio 2010 è possibile avviare class action contro le pubbliche amministrazioni, senza che sia prevista la retroattività.
Caratteristiche e Definizione
Lo scopo delle class action contro la pubblica amministrazione è quello di difendere il cittadino-utente da ogni tipo di violazione dei parametri di qualità da parte dei servizi pubblici, indifferentemente dalla natura del soggetto erogatore.
Tale class action verso la pubblica amministrazione non prevede che si ottenga un risarcimento danni: per questo scopo si deve ricorrere ai rimedi ordinari.
Esistono diversi tipo di Class action verso la pubblica amministrazione, vediamo ora i primi due casi.
Contro le amministrazioni e gli enti pubblici non economici nazionali (il digitale per abbattere i costi e per la sicurezza dei dati)
Tale azione collettiva verso le P.A può essere avviata nei seguenti casi:
- Mancato pagamento di pensioni;
- Pessimo funzionamento di uffici aperti al pubblico;
- Mobbing e abusi nei confronti degli utenti;
- Ritardi nei vari procedimenti.
Contro le amministrazioni e gli enti pubblici non economici locali e regionali
Questo tipo di class action può essere avviata nei confronti dei seguenti Enti appartenenti alla Pubblica Amministrazione non economici locali e regionali si intendono Regioni, Province, Comuni, Comunità Montane e Isolane, Città metropolitane, Camere di Commercio,ecc….
Tale azione collettiva può essere effettuata ad esempio nei seguenti casi:
Uffici pubblici carenti di personale;
pessima manutenzione del manto stradale.
Decentramento amministrativo delle Pubbliche Amministrazioni
La Pubblica Amministrazione attua le mete stabilite politicamente attraverso l'impiego di strumenti burocratici specifici. I suoi obiettivi si allineano con quelli legali e sociali dello Stato, ed è per questo che esiste un sistema di decentralizzazione amministrativa.
Le finalità sociali di questo sistema includono la fornitura di servizi essenziali per soddisfare le necessità umane e il miglioramento della qualità di vita dei cittadini. Di conseguenza, le necessità dei cittadini vengono affrontate dalle autorità più prossime, come la Regione, la Provincia o il Comune.
La Pubblica Amministrazione, dal punto di vista soggettivo, può essere:
- Statale o Diretta, quando lo Stato persegue i suoi obiettivi direttamente
- Non Statale o Indiretta, costituita da Regioni, Province e Comuni, quando lo Stato persegue i suoi obiettivi tramite enti territoriali pubblici
La Pubblica Amministrazione Statale è ulteriormente suddivisa in Centrale e Periferica, a seconda che operi a livello nazionale o locale. Da qui deriva il concetto di Decentramento Amministrativo.
La Pubblica Amministrazione ha giurisdizione su tutto il territorio nazionale e si compone di tre entità:
- organi attivi
- organi consultivi (consiglio di Stato, avvocatura di Stato, CNEL e Conferenza Stato- Regioni)
- organi con funzione di controllo
La Pubblica Amministrazione Periferica (elemento chiave per il Decentramento Amministrativo) ha giurisdizione solo su alcune aree geografiche. Include diversi organi che contribuiscono alla decentralizzazione, come il Prefetto, nominato dal Ministro degli Interni, e i Sindaci.
La Pubblica Amministrazione, formata da Regioni, Province e Comuni, ha attributi simili a quelli dello Stato: territorio, popolazione e sovranità. Gli organi che ne fanno parte includono:
- Un Consiglio eletto dai cittadini, con poteri decisionali
- Una giunta, nominata dal Presidente
- Un Presidente di giunta, che assume il ruolo di capo dell'Ente locale.
Le basi costituzionali dell’organizzazione italiana
Fin dalla fondazione della Repubblica Italiana, i padri costituenti avevano stabilito il principio della distribuzione dei poteri e delle funzioni tra i vari soggetti e organi dell’amministrazione pubblica.
A questo segue l’art. 114 in cui si afferma che la Repubblica è formata da Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni (riconosciuti come enti autonomi aventi statuti propri, poteri e funzioni in base ai principi della Costituzione) e dallo Stato.
Alla luce di quanto appena esposto, possiamo notare come il principio unità e indivisibilità della Repubblica coesista fin dal principio con quello del decentramento amministrativo e della promozione delle autonomie locali.
Potrebbe sembrare un controsenso ma, l’obiettivo era quello di garantire una efficienza amministrativa nel limite dell’ambito territoriale in cui ogni Ente può agire.
Così si facendo si è voluto promuovere la vicinanza tra i servizi e le funzioni statali, presenti su tutto il territorio nazionale, e i cittadini. Si tratta di autonomie locali che agiscono secondo i principi della Costituzione e nello stesso tempo possono avere un indirizzo politico-amministrativo diverso da quello dello Stato.
Il principio di sussidiarietà
Dei tre principi menzionati, quello di sussidiarietà è diventato un principio della Costituzione con la riforma costituzionale n. 3/2001.
La sussidiarietà dei Comuni è di tipo verticale, gli spettano le funzioni amministrative perché è l’organo più vicino ai cittadini e rappresenta meglio gli interessi della collettività. Province, Regioni e Stato possono intervenire solo nel caso in cui le funzioni del comune non vengano esercitate in maniera adeguata.
Il federalismo
Si è cominciato a discutere di federalismo amministrativo già alla fine degli anni ’70 sull’esperienza delle regioni autonome e a statuto speciale e con l’introduzione delle prime misure intese alla regionalizzazione del territorio italiano. Il processo di decentramento amministrativo non si è esaurito con i provvedimenti singoli compiuti nei successivi trenta anni, poiché una fase decisiva verso il federalismo amministrativo si è avuta nel 1997 con la riforma Bassanini – l’allora ministro per la funzione pubblica e gli affari regionali. La riforma prevedeva il trasferimento a regioni ed enti locali di tutte le funzioni e le competenze amministrative relative alla cura e promozione degli interessi per lo sviluppo delle singole comunità. Rispetto ai precedenti tentativi, la riforma introduce principi e criteri nuovi come il principio di sussidiarietà (citato nel paragrafo precedente) e la cooperazione alla responsabilità. Le criticità emerse dall’attuazione di questa modalità di federalismo si sono rivelate negli anni successivi e in modo significativo relativamente al piano delle risorse (per esempio la redistribuzione dei trasferimenti e delle risorse alle regioni in base alle esigenze espresse), sul piano della gestione e competenze delle risorse umane (i protocolli di Mobilità differenti, controlli e avvallamenti di nuove infrastrutture), nonché sul piano degli strumenti di collaborazione tra il Governo centrale e le regioni (la conferenza Stato-Regioni e la conferenza Stato-Città e autonomie locali).
La riforma costituzionale del 1999
A due anni dall’approvazione del federalismo amministrativo, nel 1999 si approva a larga maggioranza la riforma costituzionale che prevede l’elezione diretta del Presidente di Regione e ne rafforza l’autonomia statutaria. Il sistema riprende e combina elementi costitutivi della forma del governo presidenziale – sulla falsa riga del prototipo statunitense, per esempio – ed elementi della forma di governo parlamentare. Dal modello presidenziale viene adottata la formula dell’elezione diretta del presidente di regione a suffragio universale e diretto, mentre mutua dal sistema parlamentare il meccanismo della “fiducia” tra esecutivo e assemblea, per cui il Consiglio regionale può sempre valersi dello strumento delle mozioni di sfiducia nei confronti del presidente eletto. L’elemento innovativo introdotto dalla legge è la cessazione di tutti gli organi di governo alla cessazione o caduta del Presidente o del consiglio regionale, secondo il principio per cui insieme si svolge il mandato e insieme si conclude il mandato indipendentemente dalle cause che ne determinano la fine (sia di carattere fisico o personale che di ordine amministrativo).
La riforma di legge del titolo V
La legge costituzionale del 1999 ha, di fatto, rafforzato le regioni e instaurato un reale decentramento amministrativo dal Governo centrale per molti aspetti. Con la riforma del Titolo V nel 2001, le Regioni acquisiscono nuovi compiti e una nuova collocazione nell’ambito delle istituzioni della Repubblica. Il fattore più importante è il passaggio alla competenza legislativa, ovvero spetta alle Regioni la titolarità della potestà legislativa generale in tutte quelle materie non espressamente normate o definite dalla Costituzione. Con la riforma del 2001, si raggiunge l’autonomia legislativa delle Regioni, per cui ognuno – in base alle peculiarità del territorio – può legiferare conformemente alle esigenze. Allo Stato centrale appartiene la determinazione dei principi basilari e degli ambiti generali di applicazione della normativa come per esempio nell’ambito dell’istruzione, della tutela della salute, la difesa e il governo del territorio, le grandi infrastrutture, il trasporto e i mezzi di comunicazione, la distribuzione dell’energia a livello nazionale. Questa forma di decentramento amministrativo ha stentato a trovare immediata attuazione e ad entrare a regime e nel momento in cui sembrava sortire i suoi benefici, è sopraggiunta la crisi finanziaria del 2010 che è andata a ledere anche il federalismo fiscale che si stava delineando, imponendo la necessità di gestione di determinate emergenze a livello nazionale. In ogni caso, l’istituto del federalismo è vigente indipendentemente da come viene effettivamente attuato nella prassi.